II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia

Atti 5,12-16  Salmo 117  Apocalisse 1,9-11a.12-13.17-19  Giovanni 20,19-31

Il Vangelo propone oggi la figura di Tommaso, sbrigativamente etichettato come l’incredulità fatta persona. In realtà è un uomo, un credente che ci assomiglia, che dice di noi, delle nostre difficoltà a credere. Tommaso è icona del credente vero, di chi non s’accontenta di una fede subita per tradizione, di chi non teme di farsi domande, di chi crede per capire e capisce per credere Chi di noi non ha arrancato come lui, chi di noi non ha vissuto la sua stessa fatica? Tommaso arriverà, alla fine, all’affermazione teologica bellissima, fra le più belle: “Mio Signore e mio Dio”. Lui, l’incredulo, arriva a dire una cosa grandiosa, indimenticabile perché appunto il dubbio celebra lo splendore della libertà. “Mio Signore e mio Dio”. E questo piccolissimo aggettivo possessivo “mio” è una meraviglia perché dice appartenenza, dice amore. Io sempre, da quando sono prete, anche prima, ad ogni Messa quando alzo Gesù Eucaristia nella forma del pane e del calice, dico sempre: “Mio Signore e mio Dio”. Vuol dire tutto, vuol dire proprio credere dove credere vuol dire dare il cuore. “Credo. Do il cuore, il mio cuore”. “Mio Signore e mio Dio”. Questo è il mio augurio: che durante la Messa anche noi, pur coi tanti dubbi che abbiamo, dire: “Mio Signore e mio Dio. Io ti voglio bene”. Perché ogni volta che il Signore ci incontra in quel gesto grande che è l’Eucaristia, la domanda è una sola: “Ma tu mi vuoi bene?”. Perché se gli vogliamo bene nasce una relazione ma se non c’è questo amore, uno è praticante ma non diventa credente cioè uno che dà il cuore. E noi a che punto siamo? Buona Domenica della Divina Misericordia. Don Luciano.

P.S. Nel pomeriggio, in Pieve, Amalia Louise Cencetti e Alessandro Corsi ricevono il Santo Battesimo. Anche Riccardo Corrente a Olmi rinasce dall’acqua e dallo Spirito.